Il Social Eating è un trend che si sta diffondendo anche in Italia e che rientra nel fenomeno più ampio della Sharing Economy.
A parte il fatto, del tutto personale, che a me la parola SHARE (condividere) piace un sacco, perché implica dentro di sé un movimento circolare (io do a te che dai a me che restituisco a te che prendi da me ecc…) e non unidirezionale (io ti do, te prendi…e zitto!), credo che in un periodo di crisi del sistema economico così come è stato pensato nel secolo scorso, sia necessario rivedere e reinventare modi di fare economia. ECONOMIA intesa in senso etimologico: οἴκος (oikos), “casa” e νόμος (nomos), “norma“. Quindi letteralmente “gestione della casa” o, se la vogliamo guardare in senso più ampio, della collettività. Se invece pensiamo a quello che ci hanno insegnato direttamente o indirettamente sull’economia, almeno a me viene in mente per prima la parola “PROFITTO” che deriva dal latino “proficere” che significa “avanzare”, “andare avanti” e per seconda la parola “LAVORO” che viene sempre dal latino “labor” che vuol dire “fatica” (tutta vita eh!?!). Quindi l’economia per come me l’hanno fatta vedere è un andare avanti con fatica! Sigh!
Purtroppo con le scienze economiche non sono mai andata molto d’accordo quindi forse è per questo che spero in una “riforma” (dal basso) dell’economia. La Sharing Economy potrebbe essere una risposta, almeno per una fetta della popolazione mondiale, sia alle necessità strette di singole persone e famiglie, che per il benessere del pianeta, visto che si propone di “promuovere forme di consumo più consapevoli basate sul riuso invece che sull’acquisto e sull’accesso piuttosto che sulla proprietà” (articolo pubblicato su www.laretechelavora.com).
Per quanto riguarda il tema che interessa me più direttamente, il Social Eating, si sta affermando come modo non solo di consumare pasti, ma anche di incontrare persone con gusti, sensibilità ed interessi simili. Anche se ancora non esiste una norma specifica su questo tipo di attività, il “legislatore” (parola che fa paura), insieme a società presenti in questo mercato (per esempio il sito www.gnammo.com) fornisce qualche indicazione visto che l’attività si configura come “prestazione occasionale di servizio tra privati”.
Se vi interessa sapere un po’ sui numeri del fenomeno vi rimando ad un articolo di Repubblica.it in cui sono riportati un po’ di dati per Regione.
Speriamo quindi che questo percorso vada avanti in modo lineare, senza che l’italico mostro burocratico si mangi, oltre alle passioni dei cucinieri, anche tutte le loro buone intenzioni.